La storia ci
tramanda tanti nomi di uomini morti in nome della libertà di pensiero, da
Socrate a Giordano Bruno, da Thomas More a Giovanni Gentile. Nomi dietro i
quali si cela una ragione che non si è piegata alla paura e alla morte, una
ragione che non ha mai rinnegato la sua natura “pensante”, una ragione per
dirla “alla Foucault” che ha avuto il coraggio della verità. Ma di tutti questi
nomi, che sull’onda dei secoli sono giunti al nostro cospetto affinché siano
per noi fonte di insegnamento, ce n’è uno al confine tra memoria e oblio, tra
le maglie di un intreccio di eventi, testimoniati dalla storia, e di emozioni,
conseguenze e cause di situazioni sempre più complesse e complicate che si
allontano così tanto dalla loro origine da sembrare di seguire una logica tutta
loro, indipendente da noi uomini che le creiamo. Però, capita che in certi
momenti storici e nella mente di grandi pensatori quest’intreccio si snodi
mostrando nella sua interezza ogni filo di cui si compone e i meccanismi che legano
ciascun filo agli altri.
È proprio in questi momenti che l’intuizione
filosofica coglie un aspetto della verità. Questo aspetto ha il nome di Ipazia.
Filosofa, matematica, astronoma, maestra di pensiero e di comportamento
nell’Alessandria d’Egitto tra il IV e il V secolo d. c, ad essa solo poche
righe dedica la maggior parte dei manuali di filosofia della cultura
europea occidentale.
Alessandria in
quel tempo era un crocevia di culture e religioni diverse, siamo infatti
all’alba della proclamazione dell’editto dell’Imperatore Teodosio che
consacrava il Cristianesimo religione di Stato e vietava i culti pagani. I
cristiani dell’Impero d’Oriente avevano adesso l’appoggio del potere temporale
e Cirillo, vescovo di Alessandria, era una delle maggiori autorità
ecclesiastiche del tempo.
Fulcro del mondo e della cultura tardo antica,
la città d’Egitto, dilaniata da lotte fra le tre grandi confessioni religiose
paganesimo ebraismo e cristianesimo, è al suo tramonto.
In un sistema di
credenze in cui ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è vero e ciò che è
falso si contrappongono in modo netto e indiscusso, giustificando spesso orrori
e violenze in nome di un presunto bene in lotta con un presunto male, la
ragione rischia di soccombere.
In un mondo in cui la forza della ragione si
frantuma davanti le sacre scritture, non c’è più posto per Ipazia, accusata di empietà per le sue teorie
astronomiche che contraddicono la verità enunciata dai libri sacri, per il non piegare mai la sua libertà di pensare e dubitare alle credenze imposte dal
dogma cristiano, per il suo essere donna in grado di insegnare la saggezza
dell’agire politico agli uomini.
Unica donna che
Raffaello ritrae nella sua Scuola di Atene, nel cuore del Vaticano, Ipazia era
il centro della cultura ad Alessandria; aveva, infatti, ereditato dal padre la
cattedra di filosofia presso il Museo alessandrino fondato settecento anni
prima da Tolomeo.
Il Museo era un luogo senza tempo, dove la
parola scritta degli antichi maestri del sapere umano diventava orale sulle
labbra di nuovi maestri che facevano rivivere le teorie e il pensiero dei saggi
di ogni tempo e luogo affinché fossero da modelli di comportamento in una
società afflitta dalle continue violenze.
Ipazia, unica
donna maestro, teneva le lezioni di filosofia, ma l’altissima, questo è infatti
il significato del suo nome, ebbe il merito far rivivere la filosofia anche per
le strade, insegnandola a tutti coloro che lo desiderassero. L’amore con cui
condivideva il suo sapere fece sì che il popolo l’ammirasse e le massime
autorità politiche la ritenessero saggia e degna di essere ascoltata prima di
importanti decisioni per la vita dell’Impero.
Lo storico pagano Damascio scrive che "la donna, gettatosi addosso il mantello e
facendo le sue uscite in mezzo alla città, spiegava pubblicamente a chiunque
volesse ascoltarla Platone o Aristotele o le opere di qualsiasi altro filosofo".
Ipazia incantava e incantando insegnava a pensare. La filosofia è figlia
dell’incantesimo e dello stupore, lo stesso stupore degli occhi dei bambini di
fronte alle meraviglie del mondo che col
tempo lasciano il posto, negli occhi degli adulti, alle ovvietà del mondo.
Ipazia godeva di
una posizione sociale inusuale nel mondo greco. La libertà di parola e di azione che le veniva dalla sua
cultura, infatti, la poneva in modo sapiente davanti le autorità della città e
non era motivo di vergogna per lei stare sola in mezzo a uomini. Amata dai suoi
allievi, fu fonte di scandalo e oracolo di temperanza. Tutti la rispettavano
per la sua profonda saggezza e provavano verso di lei un timore reverenziale
che in alcuni, purtroppo, si tramutò in rabbia e invidia culminanti nel barbaro
omicidio avvenuto nel marzo del 415 d. C. “Alcuni, dall'animo surriscaldato, - scrive lo
storico bizantino Socrate - guidati da un lettore di nome Pietro, si misero
d'accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno casa.
Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome
da Cesario: qui, strappatale la veste, la uccisero colpendola con i cocci. Dopo
che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati questi pezzi al
cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia di lei nel fuoco". Umiliata, denudata,
lapidata, fatta a pezzi e bruciata, del suo corpo non è rimasto nulla, nemmeno
un’iscrizione sepolcrale a ricordarla.
Nella cultura
greca la sepoltura dei corpi è sacra: Antigone, eroina della tragedia di Euripide,
diede la sua vita in cambio di un’onorata sepoltura al fratello; Achille
concesse una tregua ai Troiani affinché tributassero i giusti onori al corpo di
Ettore morto in battaglia.
Ipazia era greca
o, forse sarebbe meglio dire, pagana, una pagana al tempo delle conversioni
coatte al cristianesimo. Ma sarebbe riduttivo definire Ipazia una pagana uccisa
da un gruppo di monaci cristiani. Ipazia è la voce della ragione soffocata dal
dogma, è la libertà di pensiero di fronte a una verità che non può essere messa
in discussione, ma solo accettata. La filosofia è per sua stessa
natura nemica di ogni dogmatismo, è un continuo dubitare di sé e della vita e
del rapporto tra se stessi e la vita. La sua essenza è l’inquietudine, uno
stato di tensione, di continua ricerca, dove ogni conquista non è chiusura ma
apertura verso un nuovo cammino. L’anima stessa è per sua natura inquieta, non
può mai stare in pace, scalpita proprio come i cavalli della biga alata di
Platone, metafora del cammino dell’anima umana verso la conoscenza. L’uomo è la
sua anima e la sua vita è filosofia. La filosofia - come evoca la stessa parola
che ne indica l’essenza, da phileo che significa amare - è amore e Amore, come
si legge nel Simposio di Platone, è figlio di Poros e Penia, il quale ha ricevuto
la natura di entrambi i genitori: l’astuzia del padre e la fame della madre che lo
spinge a una continua ricerca. Non è né immortale né mortale, a volte nello
stesso giorno vive e muore e risorge continuamente. Lo stesso amore Ipazia comunicava
ai suoi discepoli, al di là delle differenze religiose, le sue lezioni, infatti,
erano aperte a tutti, cristiani e pagani, basti pensare che uno dei suoi più
devoti allievi, Sinesio, divenne in seguito vescovo di Cirene.
Ciò
che è strano è che dopo la sua morte nessuno si proclamò suo allievo, forse le
cause ancora una volta affondano le loro radici nella paura: Cirillo, un tempo vescovo di Alessandria oggi dottore e
santo della Chiesa, considerato dalle testimonianze di storici del tempo il
responsabile del truce delitto, temeva che gli insegnamenti di una donna
sapiente potessero turbare l’equilibrio della neonata religione dell’Impero,
costruito sul dominio, sulla violenza e sull’imposizione; di contro gli eredi
dell’insegnamento di Ipazia rimasero nel silenzio per ben trent’anni per paura
di uno dei vescovi più potenti di tutto l'Impero d'Oriente.
Uccisa nel corpo e nella memoria, di lei non ci è giunto
alcuno scritto. Gli storici Socrate Scolastico e Filostorgio, sfidando le
ancora in carica autorità spirituali e temporali responsabili del suo
assassinio, scrissero di questa donna circa vent’anni dopo la sua morte. Se
oggi possiamo ricordarla è soprattutto merito loro.
Ipazia credeva in un mondo in continua
evoluzione, retto da un ordine segreto del cielo che solo attraverso
l’intuizione filosofica poteva essere svelato e condiviso. Un ordine che fa da
specchio al mondo umano e che è in grado di mostrare come il disordine della
vita umana sia solo apparente. Ipazia professa ante litteram la teoria
galileiana che annulla ogni dualismo fra cielo e terra, sostenendo che un unico
principio regola la sfera celeste e quella umana, dove non esiste alcuna imperfezione, ma solo una diversa perfezione. La volontà della filosofa di cogliere il segreto movimento degli
astri, al di là di ogni apparenza, si scontrava con la concezione di un mondo immutabile e retto da un ordine manifesto ed enunciato dalle sacre scritture.
Ipazia,
infatti, metteva in discussione la teoria cosmologica aristotelico-tolemaica
secondo cui la terra è immobile e il sole si muove attorno ad essa secondo
orbite circolari. Già il filosofo Aristarco di Samo aveva intuito che a
muoversi non è il sole ma la terra, adesso ad essere messo a dura prova è il
moto circolare.
Ipazia
aveva una profonda fede filosofica nel cerchio, figura geometrica perfetta nel
mondo greco perché chiusa e finita. Tutto ciò che è infinito, infatti, è
indeterminato e per i greci imperfetto, mentre tutto ciò di cui si può scorgere
inizio e fine in un continuum armonico è simbolo di perfezione. Ma, per la
prima volta, la filosofa alessandrina, erede del pensiero platonico, si chiede
se l’imperfezione di ciò che non è cerchio sia solo apparente. Il non essere
per Platone è solo un essere diverso, non implica necessariamente il male.
Ipazia, nel IV d. C., approda alla teoria, confermata in pieno Rinascimento da
Keplero, che la terra si muove intorno al sole disegnando un’ellisse, la quale
non è che un cerchio molto speciale i cui due fuochi si sono avvicinati a tal punto
da sembrare uno solo.
Come
l’ellisse è un’imperfezione solo apparente, anche il mondo morale e delle
credenze umane solo in apparenza può essere regolato da un unico ideale
centro ordinatore del mondo. Più religioni possono, infatti, convivere come fuochi
di un’unica orbita che non ha più un solo centro ordinatore sulla base del
principio che siamo tutti uomini che aspiriamo alla felicità. Questo è un
insegnamento il cui valore supera gli anfratti spazio-temporali del mondo e
come fenice risorge sempre dalle sue ceneri alla ricerca di un senso di
autenticità che affonda le sue radici nell’umanità più originaria. Questo è
l’insegnamento di una donna che osservando il mondo imparava a guardare nella
propria interiorità. Questo è l’insegnamento di Ipazia che, guardando il cielo
e ipotizzando possibili spiegazioni del movimento degli astri, mostrava una
via, nuova e temuta da occhi non abituati a vedere, ma familiare per occhi in
grado di cogliere la vera bellezza che desta meraviglia. Una via che parla a
uomini e donne di ogni tempo e luogo affinché possano orientarsi dal cielo alla
terra, in fondo il termine rivoluzione nasce in campo astronomico e indica il
movimento che la terra compie girando su stessa, forse che la via da seguire
sia quella di un ritorno nella propria interiorità alla ricerca delle ragioni
su cui si fondano le nostre convinzioni e credenze? Un ritorno la cui grandezza
e il cui valore si misurano nelle relazioni con gli altri.
Eliana Macrì
Che bello!
RispondiEliminaInteressante la struttura del pezzo. Mi piace molto il fatto che biografia e riflessione su contromartirio e violenza per mano della chiesa siano portate avanti in maniera parallela. Ottima l'idea di presentare Ipazia come martire sulla quale i santi stessi hanno alzato la mano. Un paio di volte il ritmo pare calare quando la riflessione diventa lunga e solenne.
Un altro gran bel pezzo!
E' una fortuna per questo blog avere pagine così pregiate dove informazioni, bella scrittura, cifra stilistica si coniugano arricchendo il lettore, con uno modo che non ti consente di allontanarti dal rigo nemmeno per un istante.
RispondiEliminaEliana, grande scrittura!
Gd
Questa è tra le mie lattine preferite: mi ristoro leggendo di filosofia!
RispondiEliminaAdoro Ipazia, di lei conosco molte cose e, certamente, tutte quelle che hai scritto tu.
L'ho presa come punto di riferimento già sin dalla giovane età di sedici anni, quando la spiegò di sgamo la mia prof. di filosofia per la prima volta.
Lei accennò ad Ipazia, ma io ne fui così colpita che mi misi a cercare materiale su di lei, volevo conoscere meglio questa meravigliosa mente e questo grande spirito, e a quei tempi non usavo di certo google, ma enciclopedie e libri di filosofia di diverse correnti.
Credo di aver imparato da Ipazia la libertà prima di tutto e l'amore per l'astronomia, e poi, dalla sua storia cominciai la prendere talune distanze da deplorevoli ed orridi fatti di Chiesa.
Grazie Eli e brava.
L.I.
Bellissima e triste pagina di storia e di filosofia, un mondo che purtroppo non ha smesso di esistere. l'uomo è di per sé un persecutore, La sua evoluzione in fatto di "civiltà" è assai più lenta della evoluzione informatica. Anche molti cristiani subirono la stessa barbarie prima di arrivare alla libertà di culto. In tempi più recenti troviamo gli Americani che per 200 anni perseguitarono i negri facendoli schiavi e trattandoli al pari di animali. Poi ci furono i Tedeschi che se la presero con gli Ebrei uccidendone parecchi milioni. Poi i Talebani....
RispondiEliminaTragedie umane che cambiano nell'aspetto ma non nella sostanza. Crimini commessi nascondendosi dietro principi, leggi fatte per una casta, un paese, a volte un solo capo.
Brava Eliana per l'esposizione chiara, dolente, che riporta fedelmente i pochi fatti arrivati a noi.
Ipazia martire per la libertà di pensiero, grande matematica. Lei era libera e come tale agiva, diceva di essere sposata alla verità e per la sua verità, è morta. Brava Eliana e grazie.
RispondiEliminaNina
Ipazia è una figura che mi affascina sempre. La cultura, la sapienza, l'emancipazione anche in un mondo greco ove tutto era possibile. Schemi nuovi regole che il cristianesimo ha spazzato via. Più per paura che per vera necessità. La legge di Dio che stravolgel'evoluzione dell'uoo. Se siamo creati da un Dio mai ha voluto che ci fermassimo ai confini della conoscenza. Ipazia scoprì la assurdità del sistema tolomaico. Un balzo in avanti nei secoli ce solo Galileo ma molti secoli dopo dimostrò. Ma le fecero pagare l'essere donna, libera e sapiente. A Galilio si sa: lo fecero abiurare. Complimenti all'amica mia.
RispondiEliminabrava eliana,un po' didascalica ma ci fai avvicinare alla filosofia per il piacere di conoscerla.ottima scrittura da leggere piacevolmente.A quando gli approfondimenti? Li aspetto.
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